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Le incognite sul Monte

La difficile ricerca di soci che salvino la banca. La spiazzante richiesta della Commissione di aumentare del 150% la ricapitalizzazione

Le incognite sul Monte

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Repubblica - che ringraziamo - esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di questo sito, che rimane autonoma ed indipendente. 


Una storia italiana.

Il fortunato claim pubblicitario del Monte dei Paschi, sulle note di Paolo Conte e Rino Gaetano, si può leggere anche con taglio opposto e negativo. Non è solo la storia della più antica, radicata, bella (architettonicamente) banca del Paese. Dal 2011 e in crescendo, una storia italiana è quella che ha consumato il capitale nel gorgo dei Btp complici i derivati, quelli autoctoni - e di un salvataggio che vede i cattivi verso il processo e la nuova gestione arrancare dietro linee di salvataggio severe come mai si sono viste nell’Unione europea. Il caro spread - avesse bisogno di un suo claim, forse sarebbe “Il prezzo Italia” - che le banche pagano dal 2011 al rischio paese (e riversano sui cittadini in dieta creditizia), assume da settembre una forma nuova, incognita.

Per il fatto di essere “una storia italiana”, senza sminuire gli errori gestionali e strategici di Mussari- Vigni-Baldassarri, MPS paga ora un “prezzo Italia” nei crismi del suo salvataggio, che entrerà nel vivo l’anno prossimo con la ricapitalizzazione da 2,5 miliardi. Nel Paese in cui il governo sbanda a giorni alterni sotto scacco di Berlusconi, in cui al Tesoro siede l’ex direttore generale della Banca d’Italia e braccio destro del presidente della Bce, in cui tanto lavoro e tanti “fari” delle authorities non hanno saputo evitare lo smottamento della terza banca nazionale, in cui i banchieri s’interrogano

sulle linee guida della vigilanza unica che tra sei mesi assegnerà all’Eurotower funzioni dei regulator locali; in un tale paese, l’italianità bancaria (tralasciamo la senesità) non è un avviamento. Ora, nel tempo sospeso in cui il vecchio bancocentrismo su scala nazionale agonizza e la nuova Europa del credito non è ancora nata, abbiamo visto da un albergo di Cernobbio il commissario Joaquin Almunia cambiare i numeri dell’aumento MPS, e imporre stringenti cardini operativi al nuovo piano quinquennale della banca.

Non si ricordano salvataggi bancari tanto severi in Europa, dal crac Lehman in poi. Soprattutto in Germania, la terra da cui promanano i diktat rigoristi cari ad Almunia. Né con il bailout da 40 miliardi delle banche irlandesi, in cui le banche tedesche avevano investito 140 miliardi (il Pil dell’Irlanda) ma non hanno perso un euro. Né con il salvataggio di Hypo Re, banca immobiliare tedesca che fu la prima a cadere dopo Lehman e costò 140 miliardi alla collettività, e un pari importo di liquidità alla Bundesbank.

Acqua passata, purtroppo sotto ponti altrui.

Viene un futuro diverso: sia che si parli di “sistema” del credito - e ciò emergerà tra qualche mese, quando gli esiti dei nuovi stress test diranno se altre banche italiane dovranno ricapitalizzare - sia limitandosi alla “storia italiana” senese. Nel caso singolo e urgente, ci sono tre aspetti su cui si dipana il dossier, e ricalcano il documento su cui lavora il management guidato da Fabrizio Viola per portarlo al voto del CdA il 24 settembre.

Aumento di capitale, fondazione e azionisti

La spiazzante richiesta della Commissione di aumentare del 150% la ricapitalizzazione 2014 dimora nell’ottica burden sharing, che vorrebbe far pesare su soci e obbligazionisti gli aiuti di Stato bancari. Così non era nella versione del piano che sei mesi fa portò all’erogazione dei Monti Bond da 4,07 miliardi. Il principio teorico è di facile condivisione: gli stakeholder siano i primi a pagare quando una banca entra in crisi, specie se per cause “endogene”. L’equivoco si ingenera per il fatto che MPS aveva invocato nel piano 2012 cause “esogene” (l’abbuffata di titoli del Tesoro, deprezzati con l’allargamento dello spread), non la cattiva gestione che trascurò i rischi strategici dell’acquisizione Antonveneta, e quelli operativi legati ai derivati collateralizzati a quei Btp (i prodotti tossici Santorini e Alexandria, costati 2,07 miliardi al Monte tra liquidità e svalutazioni, e ancora accesi).

L’impostazione di Almunia e uffici, come si profila, è diversa e addossa responsabilità rilevanti ai banchieri senesi. Perciò MPS dovrà ricapitalizzare di più, e usare i soldi per restituire gli aiuti di marzo: come se 2 miliardi in più di Monti Bond (quasi 2 erano già in essere a nome Tremonti Bond) non li avesse presi. Dietro incontri e dichiarazioni distensive si cela insomma la virtuale bocciatura dell’Ue, che ha costretto Siena a rifare il piano.

Affiora una complessità in più, tecnica. La normativa vieta aumenti riservati oltre il miliardo, pertanto la vecchia delega al cda (aumento riservato da un miliardo) andrà modificata. L’aumento nuovo sarà aperto a tutti i soci. Ma il regolamento dei Monti Bond, che prevede la conversione in azioni MPS a sconto del 30% sul prezzo ex diritto, rende non conveniente per gli attuali soci sottoscrivere un aumento in Borsa con sconti oltre quella soglia. Per simili operazioni, tuttavia, i banchieri d’affari non esitano a offrire sconti fino al 50% per chi compra, il vincolo andrà affrontato per aumentare le chance di successo dell’operazione, pena la nazionalizzazione della banca.

In tutti i casi, fondazione MPS non ha fondi per seguire l’aumento, e ne uscirà diluita dal 33,5% attuale a un intorno del 5%. Antonella Mansi, presidente insediata venerdì, pare intenzionata ad agire in raccordo con il management dell’istituto. «Il momento è serio - sono le sue prime parole - non si scherza. Abbiamo bisogno che tutti facciano il tifo per noi, per fare in modo che la fondazione sia motore di sviluppo del territorio. Ci vorrà tempo e anche un po’ di fortuna».

Ma il primo socio di tempo ne ha poco, e potrebbe voler cercare un nocciolo duro di azionisti, stile public company, per evitare di disperdere il suo peso in banca. Benché il “sistema Siena” auspichi di trovare una pluralità di soci finanziari disposti a mettere quei miliardi, e con poche pretese sulla redditività, nel futuro potrebbe esserci anche un istituto rivale. La lista virtuale dei candidati, piuttosto che banchieri “emergenti” e outsider, potrebbe annoverare banche più prossime a Siena, come la Bnl-Bnp che per due volte tentò l’integrazione il decennio scorso, o come Unicredit, poco radicata in Toscana.

L’ad Federico Ghizzoni, che di Alessandro Profumo prese il posto (2010), ha in agosto subordinato ogni eventuale interesse a due vincoli: «Prezzo inferiore al valore patrimoniale e ritorno per i soci superiore al costo del capitale».

Portafoglio Btp e strumenti finanziari

Gli eccessi passati tra tesoreria e area finanza complicano le cose. Restano 23,4 miliardi di Btp in pancia, un’enormità che eccede il 10% degli attivi 2012 della banca. La Commissione Ue vorrebbe che nell’arco di piano calassero, si dice fino a 17 miliardi. La cifra, ufficiosa, sarebbe un saldo tra le scadenze nel periodo (stima 8 miliardi) e l’esigenza manageriale di investire parte della liquidità in altri Btp - circa 1,6 miliardi sostenendo il margine di interesse con un po’ di carry trade come ogni banca europea fa da mesi.

Sul fronte derivati, invece, le richieste della Commissione sono motivate dagli elevati mark to market negativi (una quindicina di miliardi) riferibili a contratti swap e altri derivati. Ma essendo stata informata che nel bilancio MPS ci sono posizioni in derivati che guadagnano, per ammontari simili, l’Ue potrebbe accettare che il comparto trading si dotasse di una rischiosità (Var) inferiore alla media, e legata alle coperture di attività commerciali.

Costi, sportelli e personale

La comunità senese, coccolata per decenni da “babbo Monte”, rischia di pagare un prezzo alto. Oltre alla prospettica dissoluzione della fondazione, e della sua capacità di indirizzare le strategie in banca (e relative risorse: 2 miliardi di euro le erogazioni dell’ente nato nel ’95 al territorio) c’è un altro piano di esuberi in arrivo. Le 4.600 uscite consuntivate dal piano 2012-2015 sembra potrebbero raddoppiare, anche se le ultime trattative con Bruxelles sembra possano mitigare il quantum, e soprattutto gli effetti, tramite il ricorso ampio ai prepensionamenti e al fondo esuberi interno.

MPS ha oltre 28mila dipendenti; circa un decimo dei cittadini senesi lavora al Monte.

I sindacati interni sono sul chi va là, ma sarà difficile per loro arginare la valanga in arrivo. A fronte di queste e altre azioni, la riduzione dei costi, che la banca ha avviato da anni - ma avendo molto da fare a riguardo - dovrà portarsi dai 565 milioni previsti dal vecchio piano a un range stimato dagli operatori tra 800 e 1.000 milioni. Serviranno, tra l’altro, ulteriori chiusure di filiali rispetto alle 400 annunciate, compensate da un’evoluzione verso canali remoti e telematici dell’antica banca.