Mps, quale futuro
Da una parte le richieste di Bruxelles, dall'altra le incertezze della Fondazione. In mezzo il domani della banca senese
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di Cinzia Meoni
Mps punto a capo. Da mesi Rocca Salimbeni è alle prese con piano di risanamento lacrime e sangue strenuamente voluto dal presidente Alessandro Profumo e dall’a.d. Luigi Viola per tornare in pista ed evitare la nazionalizzazione della banca. Uno scenario quest’ultimo che potrebbe avverarsi qualora Mps non fosse in grado di ripagare nei tempi e nei modi stabiliti i quattro miliardi circa di Monti bond (prestito obbligazionario sottoscritto dalla Repubblica Italiana e convertibile) concessi lo scorso inverno per evitare il default. La discussa misura era stata presa come un ultimo salvagente lanciato ad una Rocca all’apice della crisi, esplosa in tutta la sua drammaticità con lo scandalo sui derivati (strumenti di finanza creativa che di fatto effettuavano operazioni di make up a beneficio del bilancio disastroso della banca senese). Da allora qualche passo in avanti è stato inevitabilmente mosso, ma la situazione rimane grave. Mps ha chiuso il primo semestre del 2013 con una perdita netta di 380 milioni di euro (il consenso degli analisti stimava un rosso limitato a 280 milioni), ma al rispetto allo stesso periodo 2012 (archiviato con una perdita di 1,5 miliardi), lo scenario è comunque migliorato. Sono poi aumentate le commissioni (+1,45), i costi sono diminuiti addirittura del 10,5% e l’indice di patrimonializzazione Core tier 1 ratio si è normalizzato all’11% rispetto all'8,9% di dicembre (tuttavia è comprensivo dei Mondi Bond). Un semestre, che ha giudizio di Viola, “ha confermato l’efficacia delle azioni prioritarie messe in campo dal onte Paschi, vale a dire il miglioramento del profilo patrimoniale e finanziario e il miglioramento dell’efficienza operativa”. Ma la strada da percorrere è decisamente ancora lunga.
A frenare la piena efficacia delle misure predisposte sono tuttavia due fattori, uno interno e uno esterno al Monte: Bruxelles e l’incapacità della Fondazione Mps (che ha in mano il 33,4% di Rocca Salimbeni) di eleggere una dirigenza che possa porsi come interlocutore con la banca da un lato e con i nuovi potenziali soci. Il doloroso piano di risanamento di Mps passa infatti anche dalla ricerca di nuovi azionisti in grado portare linfa alle casse di Rocca Salimbeni, svuotate dall’acquisizione di Antonveneta, colossale (10 miliardi di euro, più di quanto la stessa rocca Salimbeni capitalizzasse all’epoca) e economicamente disastrosa (la sola Fondazione ha dovuto sborsare oltre 4,4 miliardi di euro in due differenti ricapitalizzazioni successive all’operazione) del 2007. Al momento però non ci sono offerenti all’orizzonte disposti ad aprire il portafoglio per entrare nel capitale della banca più antica del mondo con l’aumento di capitale da almeno un miliardo di euro (due qualora la banca dovesse aderire alle recenti richieste di Bruxelles) già messo in rampa di lancio da Profumo e Viola. La rimozione del tetto al diritto di voto al 4% nelle assemblee di Mps per tutti i soci diversi dalla Fondazione, avvenuta un mese fa, non è per ora bastata ad attrarre potenziali investitori. Un interlocutore alla Fondazione, azionista di maggioranza in Mps, forse potrebbe agevolare le trattative. Ma per il momento da Palazzo Sansedoni, sede della Fondazione, si elevano solo fumate nere.
È stato più semplice eleggere un nuovo Papa. A fine agosto i 14 componenti della Deputazione Generale della Fondazione Mps si erano infatti riuniti per eleggere il presidente e i 4 componenti della Deputazione amministratrice, ma, per la terza volta consecutiva in due settimane, non sono riusciti a trovare un accordo. Sul tavolo, tramontata la candidatura di Lorenzo Bini Smaghi, è rimasto un nugolo di nomi, di personalità giuridiche o economiche non strettamente legati alla città del Palio. Tra i favoriti ci sarebbero Francesco Maria Pizzetti (ex presidente dell’authority sulla privacy), sostenuto dal sindaco Bruno Valentini e Antonella Mansi (vice presidente di Confindustria), mentre in posizione più defilata vi sarebbero Marcello Messori e Pierluigi Ciocca. “Io vengo dal Vaticano dove 118 cardinali hanno eletto un Papa in quattro e quattr’otto e qui non si riesce a fare il presidente di una Fondazione senza un quattrino” ha dichiarato Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, uscendo dalla sede della fondazione, Palazzo Sansedoni, dopo l’ennesima fumata nera.
Eppure nonostante alla Fondazione non sia rimasto un soldo in tasca, come notato da Paolucci, l’accordo non si trova. E per Mps tutto questo significa una cosa sola: bocce ferme, quando invece il momento richiederebbe la massima concentrazione e dedizione da parte di tutti i soggetti coinvolti. Anche appunto da parte della Fondazione chiamata a fare un passo indietro con il prossimo aumento di capitale, anche per fare posto ai nuovi azionisti. Ma l’Ente rimarrà comunque un azionista di rilievo e proprio per questo è necessario che sia un interlocutore attento e disponibile con chiunque voglia investire in Mps. Il successo del piano peraltro è nello stesso interesse della Fondazione che ha puntato tutte le sue fiche su Rocca Salimbeni e ha perso tutto. Oggi palazzo Sansedoni si ritrova coperta di debiti (nel 2012 sono scesi a 465 milioni rispetto ai 703 milioni dell’anno prima, ma rappresentano comunque il 60% del patrimonio netto), un bilancio in rosso (l’esercizio si è chiuso con una perdita di 193,7 milioni rispetto al rosso di 331 milioni del 2011) e con risorse praticamente azzerate. Il destino della Fondazione è oggi come mai prima d’ora legato per la quasi totalità a quello del Monte, unica partecipazione rimasta in portafoglio (mentre nel 2004 il 50,6% del Monte allora detenuto dalla Fondazione rappresentava solo il 38% del patrimonio della Fondazione).