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Monte dei Paschi, la fine di un'epoca

Comunque vada a finire l'assemblea del Monte dei Paschi convocata per deliberare l'aumento di capitale, la fine del 2013 segnerà la fine di un'epoca.

Monte dei Paschi, la fine di un'epoca

Da Milano Finanza


Comunque vada a finire l'assemblea del Monte dei Paschi convocata per deliberare l'aumento di capitale, la fine del 2013 segnerà la fine di un'epoca. Non solo perché la Fondazione e il Comune di Siena perderanno il controllo di quello che, insieme al Palio, è il simbolo della città da oltre cinque secoli, essendo la banca stata fondata nel 1472. Ma perché, per la prima volta dal dopoguerra, una banca di grandi dimensioni, Mps era la terza italiana, troverà sul mercato la soluzione alla propria crisi.


Sino ad oggi, infatti, le crisi bancarie, da Banco Ambrosiano in poi, avevano sempre trovato soluzioni di sistema, con altre banche chiamate in soccorso da Banca d’Italia. Per il Monte non sarà cosi. Nessuno è realmente interessato, per le dimensioni dell’intervento, ma anche per le modeste prospettive di redditività rispetto ai rischi. E’ così dovuto intervenire il governo, con una soluzione ponte di dimensioni significative.

I cosiddetti Monti bond, per 4 miliardi di euro, sono stati sottoscritti nell’emergenza; ma l’Ue ha imposto una soluzione strutturale diversa e non pare che l’attuale governo possa o voglia trasformare il prestito ponte in capitale a titolo definitivo. Né la Banca d’Italia o la Bce hanno dato segni di debolezza, ammiccando a soluzioni di compromesso, che non passassero per il mercato.

Se il sistema bancario italiano è solido, forse più di altri in Europa, e tale vuole restare nei numeri e nella credibilità, non c’è altra strada che sacrificare il Monte dei Paschi. O meglio, sacrificare i suoi azionisti, piccoli o grandi, che dovranno pagare il conto finale. Né potrebbe essere altrimenti. Mps è una banca di dimensioni tali da essere soggetta al controllo non più di Banca d’Italia, ma della Bce.

E le nuove regole sono chiare. Prima pagano gli azionisti, poi le varie categorie di obbligazionisti e infine i depositanti superiori a 100.000 euro. Nessuna eccezione, men che meno per una banca italiana. Altrimenti, chissà che lamenti dai tedeschi, poco convinti di dover accettare l’unificazione dei controlli bancari o i prossimi (benché diluiti nel tempo) meccanismi del fondo di salvataggio.

Ancora qualche settimana fa, nei casi Banca Marche, Carige o altri di minori dimensioni, qualche grande azionista o amministratore di banche, si illudeva forse che, alla fine, una soluzione amichevole si sarebbe trovata. Per il Mps anche la Confindustria di Siena, che pure dovrebbe avere colori e principi diversi da quelli che guidavano la Fondazione e il Monte, ha chiesto una soluzione politica, invocando l’intervento dello Stato, tramite la Cassa Depositi e Prestiti o del Fondo Strategico Italiano.

Comprensibile la preoccupazione per Siena a la Toscana; ma una banca che vale circa il 5% del mercato nazionale, caratterizzato da un eccesso di banche e sportelli, non è affatto strategica. Al contrario, è strategico aumentare l’efficienza, a livello individuale e di sistema, per non scendere ancora. Un lavoro difficile e rischioso, che a Siena può fare solo chi si prenderà l’onore e l’onere di un aumento di capitale da 3 miliardi di Euro. Perché se è vero che gli spread in Italia sono alti per colpa del debito pubblico, certo non li aiutano i costi in eccesso delle banche.