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Aumento Mps, ecco quanto costa ai soci italiani

MPS rimbalza in borsa riavvicinandosi ai 18,7 centesimi di euro per azione e qualcuno nella città del palio tira il fiato...

Aumento Mps, ecco quanto costa ai soci italiani

Da Affari Italiani


Il Monte dei Paschi di Siena rimbalza in borsa riavvicinandosi ai 18,7 centesimi di euro per azione e qualcuno nella città del palio tira il fiato: è Antonella Mansi,  presidente di Fondazione Mps, socia al 33,5% dell’istituto guidato da Alessandro Profumo e Fabrizio Viola. Nel bilancio 2012 il valore di compendio dei titoli è stato abbattuto di 460 milioni a 952 milioni, pari a 24 centesimi di euro per azione. Non è tuttavia questa la sola soglia a cui guarda Palazzo Sansedoni, che pure deve procedere ad un ulteriore alleggerimento della quota, come fatto l’ultima volta nel febbraio scorso prima della chiusura dell’ultimo bilancio con la vendita di 90 milioni di azioni, circa lo 0,77% del capitale di Mps, al prezzo netto medio di 0,2376 euro per azione.

La Fondazione ha infatti dovuto dare in pegno agli istituti creditori (una dozzina, capitanati da Credit Suisse e Mediobanca) a garanzia dei 350 milioni di debito residui, il 9,7% circa di Mps (275,6 milioni di euro di “titoli propri” come emerge dallo stato patrimoniale al 31 dicembre scorso) e su questi titoli è prevista la facoltà di escussione del pegno in favore dei creditori se le quotazioni di Mps dovessero calare fino a 12 centesimi di euro per azione.

Così se per alleggerire (o anche azzerare) il debito residuo l’ex vicepresidente di Confindustria deve sperare di veder salire i titoli almeno attorno ai 25-26 centesimi di euro l’uno, considerando “sconti” e commissioni che comunque ridurranno l’incasso netto, nel caso in cui l’aumento di capitale da 3 miliardi (in merito al quale la Fondazione “si riserva decisioni” avendo ribadito ieri in una nota ribadisce “l’impegno a continuare ad accompagnare la banca, ove possibile, nel suo percorso di rilancio, con responsabilità e nella chiarezza degli obiettivi, senza rinunciare al proprio ruolo di azionista storico”), il problema più urgente è capire a quale prezzo potrebbe essere lanciato l’aumento stesso (Equita Sim ha indicato un valore attorno a 5 centesimi per azione ex scorporo diritto) e di conseguenza a quale livello potrebbero calare le quotazioni del titolo.

Ma non è solo la Fondazione Mps a sudare freddo: gli Aleotti (proprietari del gruppo farmaceutico Menarini), tra i soci forti di Rocca Salimbeni col 4% acquistato proprio dalla Fondazione a 0,37 euro a titolo per un esborso complessivo di 170 milioni, hanno sempre detto di considerare l’investimento in un’ottica a lungo termine, ma certo non possono essere soddisfatti di dover segnare una minusvalenza teorica attorno agli 85 milioni di euro, col rischio di dover impegnare altri 120 milioni di euro per evitare di veder diluita la propria partecipazione.

Nel caso di Unicoop Firenze, titolare dal 2002-2003 di una partecipazione del 2,727% in Mps, le azioni risultano iscritte a bilancio 2012 a 197,7 milioni, ovvero 30 centesimi di euro a titolo, dopo una svalutazione di 129 milioni (rispetto alla valutazione precedente di 327 milioni di euro, ovvero 0,76 euro a titolo). La cooperativa guidata da Turiddo Campaini (vice presidente di Mps fino a dicembre 2012, dimessosi di recente dal Cda di Rocca Salimbeni per “motivi personali”) è anche titolare di una quota di titoli Fresh emessi nel 2008 e convertibili in azioni Mps (sottoscritti a 1,5 euro l’uno per un valore nominale di 30 milioni di euro i bond sono stati già svalutati di 5,8 milioni per adeguarli al valore di carico dei titoli sottostanti). A questo punto pare difficile che Campaini decida di sborsare un’altra ottantina di milioni.

Tra i soci “minori” di Mps spunta anche un “salottino buono” del Nord Est, Rete Spa,  in cui siedono Andrea De Vido (Finanziaria Internazionale), Enrico Marchi (Save), Alessandro Banzato (Acciaierie Venete) e Laura Buoro (Nice Group). Nel caso di Rete Spa l’investimento risale al 2008, quando la banca senese acquisì (a caro prezzo) Antonveneta dal Banco Santander. Ebbene, nell’ultimo bilancio la holding risultava possedere 6,2 milioni di titoli Mps in carico a 41 centesimi l’uno, detenuti per “attività di trading”, che vista la minusvalenza latente (circa 22 centesimi per azione ovvero poco più di 1,36 milioni di perdita potenziale) non sembra essere stato svolto in modo particolarmente efficiente. In più tra la partecipazioni immobilizzate si trovano altri 29 milioni di azioni (poco meno dello 0,25% del capitale) al prezzo di 80 centesimi di euro l’una (dopo 2 milioni di svalutazioni dai 25,4 milioni precedenti pari a 87,5 centesimi per azione), su cui dunque la perdita potenziale è di circa 17,7 milioni, per oltre 19 milioni di perdite potenziali complessive.

Aderiranno i soci del Nord Est all’aumento di Mps, sborsando non meno di altri 7 milioni di euro? La risposta è tutto meno che certa. Un problema che non ha più il consigliere (e membro del comitato esecutivo) di Mps Lorenzo Gorgoni, che lo scorso 11 settembre ha deciso di vendere sul mercato oltre 29 milioni di azioni della banca senese incassando poco più di 5,9 milioni di euro ossia poco più di 20 centesimi a titolo. Meglio è andata all’ex vicepresidente e consigliere di Mps, Francesco Gaetano Caltagirone, arrivato a possedere sino al 4,72% di Rocca Salimbeni (551 milioni di azioni) ma che tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 ha venduto progressivamente i titoli in borsa a prezzi tra i 30 e i 20 centesimi di euro l’uno.

Visto quel che è successo dopo Caltagirone è uscito tempestivamente, ma non ha potuto evitare di incamerare una robusta minusvalenza visto che i titoli erano stati acquistati a prezzi tra 0,8 e 1 euro per azione. In compenso i 130-135 di milioni di euro ricavati dall’operazione è stato reinvestito, con altri mezzi freschi, per acquistare circa l’1% di UniCredit (150 milioni di euro di investimento) ad un prezzo inferiore ai 3 euro, contro i 5,4 euro a cui oscilla in questi giorni il titolo in borsa, con una plusvalenza latente per il suocero di Pier Ferdinando Casini attorno ai 120 milioni di euro che va a ridurre a circa 350 milioni di euro la perdita sull’investimento effettuato a Siena (calcolo che però non tiene conto degli eventuali profitti legati al business immobiliare sviluppato grazie a quella partecipazione).

Se nel complesso i soci italiani piangono, quelli francesi sembrano avere meno problemi. Axa è come noto entrata nel capitale di Mps nel 2007 con una quota del 4,58%, a seguito dell’accordo decennale che diede vita alla joint venture Axa Mps Vita, ed ha poi limato la partecipazione al 3,72%. Il gruppo francese pagò inizialmente 1,15 miliardi, integrati nel 2010 con altri 240 milioni, per poter distribuire le sue polizze in esclusiva su una rete di circa 2 mila sportelli, pagando l’equivalente di 695 mila euro a sportello.

Mps Mps col nuovo piano industriale al 2017 (anno di scadenza dell’accordo coi francesi) ha deciso di  chiudere 550 filiali, ma il numero di sportelli rimarrà ampiamente sopra quota 2 mila. Così Axa ha già fatto sapere che il rapporto resta saldo, al punto che il numero uno del gruppo, Henri de Castris, ha assicurato che sarà sottoscritto l’aumento pro-quota (il che significa un investimento di quasi 112 milioni).

Luca Spoldi